Visualizzazioni totali

lunedì 27 marzo 2023

Segnalazione "Nove passi alla libertà" - Maria Delizia Griffo

Buongiorno readers, oggi vi segnaliamo un romanzo edito da una casa editrice che apprezziamo davvero molto, la Bookabook. Stiamo parlando di "Nove passi alla libertà" dell'autrice Maria Delizia Grifo, romanzo letto anche dal nostro blog, speriamo di riuscire a parlarvene al più presto. 


Titolo: Nove passi alla libertà
Autore: Maria Delizia Griffo
Editore: Bookabook
Pagine: 232
Prezzo: 14,00





Trama: 
Selene è una ragazza di diciassette anni che soffre per via dell’indifferenza di una madre sempre assente. Una notte si decide a pedinarla, spinta dal desiderio di scoprire per quale motivo la donna esca sempre di casa a tarda ora. Sotto la luce rossastra di un’eclisse lunare, i suoi stessi occhi le riveleranno qualcosa di terribile: sua madre in realtà è una creatura mostruosa che si nutre di bambini. Da quel momento la vita di Selene cambierà radicalmente, e il suo unico scopo sarà porre fine alla scia di morte che quell’essere spaventoso si sta lasciando alle spalle. Questa caccia dolorosa la condurrà in Egitto, sulle tracce degli Anapa, membri di un’organizzazione segreta con origini antichissime, il cui sangue scorre da sempre nelle sue vene.


Prologo: 
Da piccola, mio padre cercò di insegnarmi a modo suo – come fanno tutti i genitori – la differenza tra il bene e il male, ma la verità è che solo crescendo ognuno di noi impara a capire che entrambi i concetti possono avere innumerevoli sfaccettature, più o meno accettabili. Di fatti, ciò che per me è bene potrebbe recar danno a un’altra persona e viceversa: noi tutti facciamo parte degli “altri”, per cui ogni soggetto recepisce un’azione in modo diverso da un altro e le attribuisce un significato che può essere ritenuto giusto o sbagliato. 

Allora, qual è la differenza tra il bene e il male? È un po’ come descrivere amore e odio, spesso considerati due facce della stessa medaglia. Se riuscissimo, però, ad andare al di là del significato di “bene” e di “male”, fino a raggiungere uno stato di neutralità e di accettazione universale, non solo del pensiero altrui, ma soprattutto del nostro, forse potremmo raggiungere la libertà a cui tanto si aspira nella vita. “L’uomo è nato libero e dappertutto è in catene”, ma probabilmente quelle catene appartengono solo al mondo esterno, terreno, a quel mondo che l’uomo ha plasmato. Per questo, la libertà, in effetti, può essere raggiunta, ma solo se si è in grado di scavare nel profondo di se stessi e di riuscire ad andare oltre ciò che di materiale ci circonda, però senza negarlo in alcun modo, perché solo unendo il corpo con la mente si può arrivare alla percezione dell’anima. Il cammino per giungere a tale destinazione è difficile, ma non impossibile. Molti sono legati al mondo materiale da catene fatte di pregiudizi e discriminazioni, tuttavia, per accettare l’“Io” degli altri bisogna prima accettare il proprio, ed è questa la vera sfida. Al contrario, la maggior parte degli uomini non riesce a oltrepassare nemmeno questo stadio di partenza, motivo per il quale il soggetto si sente in catene ovunque, catene che si è costruito da solo, incoraggiato inconsciamente da pensieri che l’ambiente esterno gli ha inculcato, dimenticando che egli stesso può essere capace di averne autonomamente, e addirittura di più elevati, se solo si desse una possibilità. 

Io una possibilità me la sono data, nonostante il timore di sbagliare e di non sentirmi mai abbastanza. Ho realizzato che non è possibile che la mente umana, dotata di così tanto ingegno, sia destinata a diventare polvere e a sparire nel nulla. Il nostro intelletto è in perenne espansione, così come l’universo; per cui, un giorno, la nostra essenza, la cosiddetta anima, una volta elevata, arriverà a unirsi al Tutto, un Tutto così grande da contenere universi.

Il mio cammino cominciò quando smisi di guardarmi intorno e iniziai, invece, a guardarmi dentro. Il pensiero che ne scaturì, probabilmente, era errato per gli altri, ma ciò che contava per me era essere fedele a me stessa e a nessun altro, perché io sola sono padrona della mia libertà.



Maria Delizia Griffo 
Nasce in provincia di Caserta nel 1996. Dopo gli studi classici, si laurea in Scienze del turismo, per poi continuare il suo percorso di studi in Relazioni internazionali. Accanto all’interesse per la carriera diplomatica, cresce anche la sua passione per la scrittura. Avvantaggiata dall’eterogeneità dei suoi studi, si spinge a indagare sulle diverse culture, religioni e simbologie, tutti elementi che inserisce nel suo primo romanzo: "Nove passi alla libertà".

venerdì 24 marzo 2023

Recensione "The drunk fury - Ascension island" - P. Andrico, P.M. Corbetta + intervista

Titolo: The drunk fury - Ascension Island
Autori: Paolo Andrico, Paolo Maria Corbetta
Editore: Bookabook
Genere: narrativa, avventura
Pagine: 544
Prezzo: 20,00€




1702. Finalmente la Mermaid e la Black Hunter solcano l’oceano verso Tamarit e il Golfo di Guinea: il prigioniero spagnolo deve essere trovato, Sir Regie deve essere convinto a unirsi alla Drunk Fury, ma castelli in fiamme, arrembaggi, battaglie, tifoni, giungle selvagge, vendette feroci e tradimenti attendono le due ciurme. L’obiettivo è ritrovarsi ad Ascension Island, il covo del capitano Vince, ultima tappa prima del viaggio per il tesoro dell’Huascarán, bramato anche dagli spagnoli. 
1718. Jack è ancora in prigione, aggrappato all’ultima lettera di Paul: “Fratello, veniamo a prenderti”. Queste sono le parole che lo salvano dalla follia e dalla disperazione; tuttavia, ancora non sa che le loro missive hanno messo in moto eventi che non possono controllare: Nassau e i Caraibi sono pronti a esplodere, e Charles Vane, Barbanera, Calico Jack, Anne Bonny e Mary Read non intendono rimanere esclusi.


⚠ Ascension Island è il secondo volume della trilogia The Drunk Fury, se vi siete persi/e il primo potete trovare la recensione sul nostro blog: La nascita della fratellanza

Dato che il primo volume mi era piaciuto molto, avevo ottime aspettative anche su questa nuova lettura, e sono state tutte più che soddisfatte! 
Molto utile il breve riepilogo iniziale per riprendere il filo delle vicende. A fine libro invece ci sono le biografie di alcuni personaggi, che hanno esaudito la mia curiosità sul loro passato (in particolare quello di Chepi), e dei bellissimi ritratti. 

In questo libro ritroviamo i nostri personaggi esattamente dove li avevamo lasciati alla fine del primo volume. Eravamo rimasti nel 1718 con Jack prigioniero a Nassau, dove Paul si sta dirigendo per liberarlo insieme a un gruppo di bandidos e a temibili pirati unitisi alla causa. Nel mentre, continua anche il racconto delle gesta della fratellanza nel 1702, quando le due fregate, la Mermaid e la Black Hunter, partono per le rispettive missioni con il fine di ottenere l'oro dell'Huascarán per finanziare la rivoluzione. 

«Nessuno dovrebbe essere schiavo di altri, non è così che siamo stati creati. Ogni uomo e ogni donna meritano la libertà, ma per arrivarci spesso bisogna combattere. Combattere e studiare, perché solo in questo modo si può uscire dall'ignoranza e dalla servitù.»

Oltre ai protagonisti, ritroviamo quindi anche la narrazione su due piani temporali e l'alternanza tra il racconto e le missive, con cui Jack e Paul si tengono in contatto e con le quali portano avanti la loro missione di tramandare ai posteri la storia della Drunk Fury. 
Ci sono però anche nuovi personaggi, e figure che abbiamo già conosciuto qui hanno maggior rilievo. Una novità importante che arricchisce la vicenda di mistero e leggende è la presenza di un non-morto, un'anima malvagia, soprannaturale o solo tremendamente deviata (questo starà a voi deciderlo!).

Ci saranno tradimenti, nuove alleanze, evasioni, parentele inaspettate, caccia alle balene. È una novità anche parte dell'ambientazione, nell'Africa occidentale, con i suoi pericoli sconosciuti.
Non manca la violenza in battaglia, soprattutto verso i nemici spagnoli, ma si parla anche dell'avidità dell'uomo bianco colonizzatore nei confronti delle tribù native.
Insomma, i nostri pirati non sono certo ritratti come dei santi o degli eroi, ma la Drunk Fury è fatta di combattenti che vogliono battersi per la libertà degli oppressi. Libertà che si può ottenere con la lama e la pistola, ma solo se accompagnate dall'istruzione. 
La Drunk Fury è la fiamma rivoluzionaria di una pirateria romantica, idealista forse, ma pronta a realizzare i propri sogni ad ogni costo.

«Siamo noi pirati contro il mondo intero, in questo fazzoletto che è il Mar dei Caraibi: navighiamo, ma le acque sembrano restringersi intorno alle nostre navi; sbarchiamo e festeggiamo, ma il numero dei porti amici si assottiglia di mese in mese; [...] Corriamo contro un maelstrom pronto a inghiottirci, un pirata dopo l'altro, e nessuna cima è tesa per aiutarci.»

Ho trovato questo volume molto scorrevole e ancora più avvincente del primo, che pure mi era davvero piaciuto. L'ho trovato ancora più avventuroso, con un ritmo più serrato e con maggiore azione rispetto al precedente.  
Apprezzo tanto l'inserimento dei dialoghi parzialmente in lingua, spagnola o francese, e anche i riferimenti storici, come il personaggio di Walter Raleigh, e culturali, come El Dorado.

Non fatevi spaventare dal numero di pagine: si legge velocemente ed è coinvolgente, riesce a trascinare il lettore in poetici ricordi pirateschi tanto quanto negli scontri implacabili tra gli equipaggi di due imbarcazioni nemiche. 
Infatti non vedo l'ora che esca il terzo libro! Per ora faccio i miei complimenti ai due autori e li ringrazio per questa bella avventura. 
Una lettura che vi consiglio sicuramente, l'ho adorata.

«Pensa che bella figura che faremo: guerriglieri, sbandati, rinnegati, trapper, principesse, pirati e balenieri. Un'accozzaglia di pazzi romantici, sciabole e fucili. Dio ci sorriderà dal cielo, tenente, e la Luna ci proteggerà.»



Paolo Andrico nasce a Milano nel 1991. Laureato in Lettere all’Università degli Studi di Milano, si appassiona di letteratura latina medievale. Oggi si occupa di editoria e comunicazione. I suoi punti di riferimento sono J. R. R. Tolkien, Herman Melville e… Vinicio Capossela. La scrittura rappresenta la sua personale caccia al Grande Leviatano.

Paolo Maria Corbetta nasce a Milano nel 1992. Fra Milano, Londra e Ginevra per lavoro e università, oggi si occupa di consulenza a Roma. Appassionato di fantasy e pirateria, fra i suoi modelli annovera Tolkien, Guareschi, Dumas, Dostoevskij e Van De Sfroos. La scrittura è la sua chiave per decifrare la realtà fra verità e fantasia.



INTERVISTA

E ora abbiamo una sorpresa: un'intervista agli autori! Li ringraziamo entrambi per la disponibilità e la gentilezza e speriamo che questo piccolo approfondimento vi incuriosisca ancora di più o vi faccia apprezzare ancora meglio la lettura di The Drunk Fury. Non ci resta che lasciare la parola a Paolo Andrico e Paolo Maria Corbetta...
💬Da dove nasce l'idea di scrivere questo romanzo piratesco? Eravate già appassionati del genere o è stata una sorpresa?

PC: L’idea della Drunk Fury è nata a luglio 2017, quando io lavoravo a Ginevra e Paolo a Milano. Eravamo amici da tempo, ci eravamo conosciuti perché la sua ragazza era mia compagna di classe al liceo, ed entrambi eravamo già appassionati di pirateria. Io comprai un saggio – “Pirati. Dall’Olonese a Barbanera” – di Mario Monti (solo un caso di omonimia…) e gli mandai una foto chiedendogli se lo avesse letto. Mi rispose con un selfie molto simpatico e leggermente imbarazzante che non abbiamo mai reso pubblico, e alla fine decidemmo di provare a scrivere un racconto piratesco a quattro mani. Tornai un weekend da Ginevra e, in un torrido sabato pomeriggio di luglio, grazie a una bottiglia di rum l’idea del racconto si trasformò nella Drunk Fury. 

PA: Come ha detto Paolo, l’idea è nata nel 2017 da alcune passioni che abbiamo in comune: la lettura, la scrittura e… il rum. In particolare, in quel periodo eravamo in fissa con i saggi storici sulla pirateria, e continuavamo a scambiarci opinioni e consigli; ma siamo amanti di questo genere in toto: dai romanzi di Salgari, alla saga cinematografica “Pirati dei Caraibi”, fino ai classici “sea shanties”, le canzoni che i marinai cantavano a bordo dei vascelli. Da qui la folle proposta di scrivere un romanzo a quattro mani proprio su questo tema. Ma amiamo anche altri generi, dal gotico al fantasy.

💬E la decisione di scrivere a quattro mani? Avete incontrato divergenze o vi siete sempre trovati in sintonia nelle scelte lungo il percorso di scrittura?

PA: La decisione di scrivere a quattro mani nasce dalla nostra amicizia, e dalla voglia di imbarcarci in questa avventura insieme. Si pensa sempre che la stesura di un romanzo sia un atto esclusivamente individuale (e lo è nel momento in cui scrivi la tua parte), ma la condivisione è sicuramente la parte più bella di questa esperienza. Ci siamo divisi la narrazione attraverso due alter ego che si inviano lettere e racconti e, sebbene la trama sia nota a entrambi, ogni volta è una scoperta. Ed è bello vedere come i nostri stili si intreccino durante il racconto. Divergenze vere non ne abbiamo mai avute, al massimo confronti e scambi di vedute; ma in linea di massima siamo sempre andati d’accordo senza mai litigare (o venire alle mani come i pirati). E oramai siamo due scrittori navigati.

PC: Volevamo scrivere insieme ma senza sacrificare le nostre individualità e i nostri stili e, pertanto, l’idea di scrivere a quattro mani è venuta fuori da sola. Grande idea, comunque, almeno secondo noi!
Rispetto alle divergenze, Paolo e io in realtà funzioniamo molto bene: certo, qualche volta abbiamo idee differenti, ma possiamo vantarci di non avere mai litigato (fino ad adesso) e di esserci sempre trovati, bene o male, sulla stessa lunghezza d’onda. Come in una coppia, comunicare e sapere che l’altro è una persona diversa da sé aiuta moltissimo a depotenziare qualsivoglia problema. E poi, si sa, il rum unisce i popoli.


💬Avete un personaggio che vi sta particolarmente a cuore oppure un episodio della storia che considerate il vostro preferito? 

PC: Con questa domanda aprite un mondo! Sui personaggi, sono particolarmente legato a Chepi e a Marcelo. La prima è una nativa nordamericana, fiera e con una storia molto travagliata alle spalle, che mi ricorda diverse donne che ho conosciuto nella mia vita, nonché molteplici figure che possiamo vedere quotidianamente: le soldatesse ucraine, le guerrigliere curde, le miliziane yazide, etc. Sarebbe un bel discorso da approfondire, ma non è questa la sede appropriata. Poi c’è Marcelo, il soldato rinnegato, una figura quasi tragica nel suo percorso, che sceglie di dedicarsi anima e corpo alla rivoluzionaria che guida la Drunk Fury.
Vi consiglio di leggere soprattutto le loro biografie in “Ascension Island”, per me sono pazzesche, anche se sono di parte.

PA: Per quanto mi riguarda, oltre a Jack (il mio alter ego), sono molto legato a suo zio John, un vecchio baleniere pirata divertente, burbero e incontrollabile. Una delle mie scene preferite è nel primo capitolo, quando i protagonisti della vicenda si trovano a cospirare in una vecchia locanda di Cartagena. E dove zio John non manca di intrattenersi con una delle cameriere del locale.

💬Paul e Jack in particolare sono personaggi nati dall'immaginazione o avete preso spunto da persone reali? Vi rispecchiate nei vostri protagonisti? 

PA: C’è sicuramente un po’ di noi nei nostri alter ego, del nostro vissuto e di quello che avremmo voluto fare se fossimo stati dei pirati del XVIII secolo (con un po’ di fantasia, ovviamente). Ci sono poi anche le diverse influenze letterarie e cinematografiche che ci hanno aiutati a costruire i personaggi. Nel mio caso c’è sicuramente un po’ di Jack Sparrow (il nome Jack non è un caso, “comprendi”?).

PC: Posso rispondervi per Paul. È un personaggio di fantasia, ma in lui si possono vedere riflesse altre persone. C’è un po’ di me, chiaramente, però ci sono in parte anche figure storiche ben più rilevanti. Paul è un fervente sostenitore della democrazia, della libertà, della giustizia sociale, non in maniera filosofica o aleatoria ma molto concretamente, nella vita quotidiana. Come lo erano i pirati, anche se i più non ne erano consci. 

💬Firmereste il contratto di ingaggio stilato nel primo volume? La vita per mare farebbe per voi?

PC: Massì dai, è un bel contratto, sicuramente migliore di quelli che si vedono offerti oggigiorno tanti giovani in Italia. Non ho mai vissuto in mare, anche se lo trovo estremamente affascinante, bellissimo e talvolta spaventoso; sarebbe una vita interessante, anche se si tratterebbe di una scelta un po’ radicale.

PA: Il contratto lo abbiamo creato proprio sulla base dei veri contratti che venivano stilati sulle navi pirata, è stato molto divertente. Io l’ho firmato sulla mia copia, quindi sono a tutti gli effetti arruolato. E sì, credo che mi sarei trovato bene in mezzo a quella ciurma di canaglie.

💬Raccontateci una curiosità o un aneddoto, anche divertente, legati al libro o alla sua stesura!

PA: Di aneddoti ce ne sarebbero a dozzine. Per citarne uno, mi piace ricordare quella sera che, per prendere l’ispirazione utile alla stesura di un episodio in cui appaiono degli spiriti con voci di sirene, mi sono scolato tre birre. Devo dire che l’effetto è stato molto convincente. In questo senso, penso di aver preso ispirazione da una canzone di Vinicio Capossela intitolata proprio Le Sirene, che cita: “Le sirene sono una notte di birra, e non viene più l’alba”. In generale anche la musica ha un ruolo fondamentale nella nostra scrittura: un buon sottofondo musicale può essere la base perfetta per trovare il mood del racconto.

PC: Ne abbiamo tantissimi, ma fanno più ridere dal vivo che per iscritto. Detto ciò, per scrivere un pezzo molto inquietante – l’episodio in cui incontrano Sir Regie in “Ascension Island” – mi ero chiuso in taverna al lago, al buio, di notte, con il Requiem di Mozart nelle cuffie e il rum in mano. A un certo punto ero così suggestionato che mi sono fatto ansia da solo e ammetto che sono scappato di sopra. Mi ha confortato sapere che anche Paolo ha provato la stessa inquietudine quando gli ho inviato quel pezzo.

💬Cosa vi spinge a scrivere? È sempre stata una passione? Cosa vorreste trasmettere?

PC: Scrivo da quando ne ho memoria, è sempre stata una mia passione, e il mio primo amore rimane il fantasy. Quando non trovavo un libro che mi piacesse abbastanza, mi mettevo a scrivere una storia mia. Ho sempre scritto, fondamentalmente, per me: da un lato, era un mezzo di evasione dalla realtà; dall’altro, mi ha sempre aiutato a calmarmi e a mettere in fila i miei pensieri, le mie emozioni, come vedo il mondo.
Con la Drunk Fury, però, abbiamo un grande desiderio: scrivere qualcosa di Bello – con la “b” maiuscola, sì – innanzitutto per noi, però anche per chi ci legge, per fare divertire, per trasmettere valori per noi importanti, per dare speranza. Poi si vedrà se ci riusciremo o meno, ma già la comunità che abbiamo creato in questi anni, da chi ci aiuta in tanti modi a chi partecipa ai nostri eventi e ci sostiene con così tanto calore, ci fa ben pensare, ecco. 

PA: Nasce tutto dalla passione. Prima di iniziare questo romanzo, entrambi eravamo appassionati degli stessi generi, e avevamo scritto diversi racconti, nel mio caso fantasy o legati ai viaggi per mare. In un mondo in cui ormai scriviamo esclusivamente email, messaggi su Whatsapp e didascalie nei post sui social, è quasi rivoluzionario prendersi il tempo per scrivere un romanzo (anzi, una trilogia!). Ci piacerebbe trasmettere la nostra voglia di leggere e, perché no, di scrivere e creare un proprio universo con la scrittura. Tra gli autori di ogni epoca esiste una sorta di passaggio di testimone che ci si tramanda da un libro all’altro, ognuno aggiungendo qualcosa di personale e attingendo dagli altri. O almeno così è come la vedo io.

💬C’è uno scrittore che prendete a modello? Il vostro libro preferito? 

PA: I miei due maestri sono Melville e Tolkien. Non passa un anno che io non rilegga interamente o anche solo parte dei loro romanzi. Quando torno a Nantucket, a bordo del Pequod o nella Terra di Mezzo è come tornare a casa. Se devo scegliere un libro preferito dico “Moby Dick”, e la caccia alle balene è uno dei temi che si intrecciano con la pirateria nei nostri romanzi.

PC: Partiamo dal libro preferito, che comunque sono quattro, a parimerito e ognuno per ragioni diverse: “Il Signore degli Anelli”, “Il Conte di Montecristo”, “Il Piccolo Principe”, “Il Maestro e Margherita”. Quattro letture per me essenziali. Mi piacciono diversi stili di scrittura ma non mi azzarderei a dire che prendo qualcuno a modello, mi sembrerebbe un po’ arrogante. 

💬Come consiglierebbe un pirata/una piratessa della Drunk Fury questa saga ai lettori odierni? 

PC: “Il mondo bruciava, e il cappio degli Stati si stringeva intorno agli abitanti delle colonie e ai pirati. Una principessa ci offrì prede e denari per aiutarla a salvare il suo popolo, e finì per salvare anche noi. La nostra è una storia di sangue, rum, lame spezzate, velieri e maledizioni, amore, fratellanza, guerra. Ma, soprattutto, è una storia di libertà, morte e redenzione.” Un po’ altisonante, eh? 
Questo è il livello letterario, anche se forse Paul parlerebbe così. Probabilmente, se fossero esistiti realmente avrebbero detto: “Ci hanno pagato per tagliare gole e sopravvivere agli Stati, alla fine siamo diventati rivoluzionari perché ci siamo accorti che eravamo trattati peggio dei cani. Abbiamo bevuto, ucciso e saccheggiato, ma meglio morire così che vivere come volevano imporci. Siamo stati la rivoluzione, e finisce sempre in rivoluzione quando si viene schiacciati. E poi siamo pirati: ci hanno sfidati, e noi abbiamo dichiarato guerra al mondo intero.” 

PA: Per quanto mi riguarda, Jack e suo zio John gli direbbero che il nostro libro è meglio di una bevuta del miglior rum! Ma una cosa non esclude l’altra. Anzi, tra gli effetti collaterali dei nostri libri c’è proprio questo: la costante sensazione di gola arsa…

💬Se si può domandare, avete in mente altri progetti futuri o per il momento siete concentrati sul capitolo seguente della Drunk Fury?

PC: Certamente abbiamo in mente altri progetti! Prima di tutto, però, dobbiamo concentrarci sul terzo romanzo della Drunk Fury, altrimenti la nostra editor ci sgrida. Quando avremo finito, ci sarà spazio per altre storie, anche su generi differenti.

PA: Confermo, al momento siamo concentrati sul terzo e conclusivo capitolo della saga. Ma non neghiamo di avere in mente diversi altri progetti. Ma questa è un’altra storia. Per ora restiamo a bordo, sventolando il nostro Jolly Roger e alzando i calici. Yo-oh!



_Lisa_

mercoledì 8 marzo 2023

Recensione "Il livore" - Armando Di Lillo

Titolo: Il Livore
Autore: Armando Di Lillo
Editore: Augh! Edizioni
Collana: Frecce
Prezzo: 15,00€
Pagine: 310
Link di acquistoaughedizioni.it/il-livore



La morte di Anna, dopo anni di sofferenze a seguito di un ictus, non sorprende nessuno, ma addolora ugualmente tutto il paese. La famiglia si riunisce in casa di zia Imma, sua sorella, che nell’ultimo periodo l’aveva accolta per amore di sangue, non senza reticenze: certi avvenimenti del passato trascinano le proprie ombre nel presente, ancora e senza sosta. I giorni sono lenti, pesanti, insopportabili. 
Pian piano, un coro di personaggi, tra parenti diretti e acquisiti, si affaccia sulla scena nelle ore che precedono il funerale. Nell’intrico di rapporti tra anime affini o distanti, tra fratelli in litigio e cugini che vorrebbero solo dimenticare e andare avanti, si fanno strada i fantasmi del livore, quelli che nascono da tragedie mai elaborate, ma soprattutto da segreti taciuti.


Livóre è, per definizione, "l’aspetto livido del volto di chi è tormentato dall’invidia. Quindi, nell’uso com., sentimento d’invidia astiosa e maligna, rancore velenoso". 
Questo rancore velenoso è il sentimento che ostacola, muove o tormenta i legami dei personaggi. 
L'autore ci mostra quando la famiglia può diventare motivo d'ansia e schiacciarti, quando la casa può diventare una prigione limitante, quando l'obiettivo diventa resistere anziché vivere, quando una relazione diventa forzata e opprimente. Le aspettative, l'incapacità di esprimere i propri sentimenti per quello che sono, la paura del rifiuto, la frustrazione del non sentirsi all'altezza, di non sentirsi considerati o capiti.

I personaggi di questo libro sono tutti molto umani e molto diversi tra loro, e forse proprio per questo fanno estremamente fatica ad ammettere la verità tra di loro. 
L'avvenimento che offre ad Armando Di Lillo l'opportunità di riunire i familiari protagonisti di questa storia e presentarceli è la morte di Anna: nonna madre sorella suocera. Attorno a lei si ritrovano, oltre alla sorella, le due figlie e il figlio con le rispettive famiglie. Legami di sangue quindi, ma anche d'amore o ciò che dovrebbe essere tale.
Alcuni dei legami sono forti e principalmente basati su sentimenti positivi, su una profonda conoscenza reciproca e l'accettazione delle rispettive forze e debolezze, sull'affetto e la complicità. Per me questo è stato il caso di Sergio e Betta, nonostante la difficoltà del primo a lasciarsi andare. Altri invece sono più logorati dal tempo o addirittura tossici, pieni di carenze affettive e di comunicazione mancante, di segreti taciuti e rancore represso. Il rapporto più evidente in questo caso è stato quello tra Emilio e Nicoletta. 

«Dalla morte di Anna, le pareti sembrava parlassero. Forse perché, in quella casa, erano accadute tante cose. Troppe. Molte delle quali non erano state nemmeno raccontate. Quell'abitazione custodiva segreti, aveva un'anima tutta sua. E attraverso quell'anima parlava. Più che parlare, bisbigliava soltanto a orecchi attenti.» 

I capitoli sono brevi e scorrevoli e ognuno affronta il punto di vista di un personaggio oppure un momento chiave nei rapporti familiari, un evento che li ha plasmati. 
L'autore ha anche saputo mantenere l'attenzione grazie ai continui accenni a un evento del passato, di cui sono a conoscenza solo alcuni personaggi della parentela, e che viene svelato pian piano tramite flashbacks da vari punti di vista. 
Tra gli elementi che più ho apprezzato c'è il fatto che il romanzo tocca varie generazioni. E ogni generazione affronta le cose in modo diverso. 
Molto belli i ricordi di alcuni personaggi con Anna, specialmente quelli dei nipoti. Sono questi ultimi, i giovani, ad avere spesso atteggiamenti più consapevoli di fronte a fatti inevitabili e dolorosi come la morte. Infatti il personaggio che, nonostante apparentemente non sia molto attivo nelle vicende, mi ha colpito di più per la sua schiettezza disarmante è Folco. 
Ho apprezzato molto anche la sincerità di Imma, tra l'altro estremamente suggestionabile all'idea della presenza in qualche modo spirituale dei cari che non ci sono più, nell'ammettere la difficoltà del convivere con la sorella malata negli ultimi momenti. 

C'è tanta solitudine in questo romanzo, tanto risentimento, bugie e traumi affrontati nel modo sbagliato o non affrontati affatto. 
Ma c'è anche speranza, c'è quel momento in cui due persone riescono finalmente a comprendersi e starsi vicine, in cui riescono a mollare la rabbia trattenuta e salutarsi con serenità. Forse è questo il momento che ho preferito in assoluto.
Una lettura, quindi, che affronta varie tematiche non semplicissime. Il lutto, in primis, e i diversi modi di reagire alla perdita. Per questo risulta a tratti angosciante, ma paradossalmente in un modo positivo perché fa riflettere. 
Parla di una famiglia, anzi di più famiglie, e sicuramente in qualche aspetto molti lettori ci possono trovare affinità con la propria. 
Vi consiglio il libro soprattutto se siete alla ricerca di una lettura su cui riflettere, di una storia non leggera ma comunque scritta in modo scorrevole e sensibile, chiaro, deciso. 

«Ma tu sei felice?, pensò di chiederle, ma non disse niente. Io ci sto provando a essere felice, si disse, nuovamente in silenzio. Era quello che stava cercando di fare. I risultati erano altalenanti.»


Armando Di Lillo è autore, attore internazionale, premiato regista e acting coach di origini campane. Si è laureato in Cinema, televisione e produzione multimediale all’Università degli Studi Roma Tre. Ha studiato recitazione e scrittura tra la Scozia e l’Inghilterra. È autore di altri tre romanzi, di drammaturgie e sceneggiature in lingua italiana e inglese. Attualmente si divide tra Roma e Glasgow, svolgendo le sue attività lavorative in entrambe le città.

_Lisa_

venerdì 3 marzo 2023

Segnalazione "Ucraina: Storia, geopolitica, attualità" - Argyros Singh

Buongiorno readers, 
Se seguite il blog da un po', saprete che abbiamo collaborato con l'autore Argyros Singh in un paio di occasioni e abbiamo apprezzato i suoi romanzi. Questa volta però abbandoniamo per un attimo la narrativa per segnalarvi una sua recente pubblicazione saggistica sulla storia e, inevitabilmente e doverosamente, l'attualità dell'Ucraina. 
Buona lettura.

Titolo: Ucraina: Storia, geopolitica, attualità
Autore: Argyros Singh
Editore: PubMe
Collana: Gli scrittori della porta accanto
Genere: saggio
Pagine: 168
Prezzo: 15,00€ (cartaceo), 4,99€ (ebook)



Il popolo cosacco, la russificazione, il nazionalismo ucraino, la lotta travagliata nel Novecento per conquistare l’indipendenza
Sono solo alcuni dei temi affrontati in questo saggio, rivolto soprattutto a coloro che vogliono fare ordine nella complessa situazione ucraina, approfondendone la storia e l’attualità. Il libro non ha solo un taglio divulgativo, ma entra nello specifico di alcuni contenuti fondamentali, in modo che il lettore possa acquisire argomentazioni forti e verificate, utili nel dibattito contemporaneo che coinvolge anche il nostro Paese. La speranza è di poter contribuire alla formazione di una prospettiva più nitida e di un’opinione non ideologica e ben argomentata.

L’obiettivo complementare è di riuscire a raccogliere fondi per sostenere la popolazione ucraina sia negli aiuti umanitari contingenti, sia in vista del lungo processo di ricostruzione.
Tutto il ricavato sarà quindi devoluto a United24 – The initiative of the President of Ukraine per il soccorso medico (Medical Aid).

Il saggio è arricchito da altre due voci. L’introduzione di Mykhaylo Nychyporuk è legata al complicato rapporto tra l’Unione Europea e l’Ucraina negli ultimi vent’anni. La postfazione di Adriano Grazioli descrive, da una prospettiva psicologica, le conseguenze cui vanno incontro le persone che vivono la guerra sulla propria pelle.
Si tratta quindi di un testo nel suo complesso molto dettagliato, che permette di guardare alla tragedia attuale non solo con occhi geopolitici, storici o umanitari, ma anche con un taglio psicologico, poiché la guerra, anche questa, finirà, ma avrà terribili ripercussioni traumatiche sulla popolazione negli anni a venire.


Per altre informazioni sul libro, l'autore e la collana, potete cliccare qui
Per leggere le nostre recensioni di altre opere dell'autore, potete andare sul nostro blog: Nessuna pietà, Ānanda

giovedì 2 marzo 2023

Recensione "La grande gara" - Paolo Casarini

Titolo: La grande gara
Autore: Paolo Casarini
Editore: Damster edizioni
Genere: narrativa
Pagine: 120
Prezzo: 10,00€
Link di acquistoAmazon.it/grande-gara



Giorgio arriva sulla piana con un gruppo di ragazzi di tredici, quattordici e quindici anni. Sono venuti per la grande gara. Non ci sono arbitri, non ci sono regole, ma la classifica si aggiorna ogni mattina davanti ai suoi partecipanti. E per quanto si voglia la gara dura una settimana, e volenti o nolenti bisognerà viverla fino al verdetto finale. 

Discussero del bosco, del vento, della pioggia e di altre cose che Giorgio non capiva. Usavano parole che non aveva mai sentito, parlavano di gente che non aveva mai conosciuto. Dovevano sapere quello che stava succedendo."


Giorgio ha tredici anni quando, insieme ad alcuni amici, si ritrova su una piana con altri ragazzi poco più grandi di loro. Ma cosa ci fanno lì? Tutto ciò che sanno è che ci sarà una gara della durata di una settimana, con una classifica che stabilirà il vincitore. I ragazzi vengono divisi in squadre con nomi di animali e ogni squadra deve cooperare per superare le varie prove: esplorazione, costruzione, nascondino, corsa... 

Il linguaggio è molto semplice e giovanile, compresi i dialoghi, e in questo tiene conto dell'età dei protagonisti. 
Il personaggio principale, Giorgio, sembra essere molto più tranquillo e distaccato dei suoi coetanei di fronte alla bizzarra situazione in cui si è trovato. Si adatta senza fare troppe domande, non è interessato a vincere né è particolarmente coinvolto nelle sfide della grande gara per cui gli altri si impegnano ogni giorno, né sente troppo la nostalgia di casa. 
Il comportamento dei ragazzini a volte sembra un po' assurdo, ma credo fosse proprio nell'intento dell'autore presentare in un determinato modo la maniera di pensare e di reagire degli adolescenti di oggi. In Giorgio, ad esempio, io ho trovato la solitudine che spesso si fa sentire pur stando in mezzo alle persone, e lui stesso durante la storia si rifugia nella natura ogni volta che può. 

In questa lettura ho trovato sia punti di forza che aspetti, a mio parere, migliorabili. 
Ho apprezzato l'ambientazione naturale: la piana si trova in mezzo a un bosco e i ragazzi, oltre a sperimentare l'aria aperta, imparano cose che oggigiorno si considerano erratamente inutili, come montare una tenda o saper accendere un fuoco. Ottima idea anche il fatto che il gioco sia tra giovani ragazzi e ragazze, senza la supervisione o le imposizioni degli adulti, e nonostante questo si organizzano senza eccessivi litigi e si adeguano a seguire delle regole non scritte sotto la guida dei leader del gruppo. 
Un elemento inaspettato che mi è piaciuto particolarmente sono le frasi che svelano il futuro dei ragazzini, i loro ultimi momenti, in contrasto con l'ingenuità della giovinezza, quando ancora non pensano troppo prima di agire e, tutto sommato, vivono il presente e le amicizie con leggerezza. 
Dall'altra parte, avrei voluto che la situazione venisse spiegata meglio, oppure, ad esempio, che venisse descritto con più cura lo svolgimento delle prove della gara senza saltare subito al risultato. 
Come e perché sono giunti sulla piana? Chi aggiorna la classifica? Da un lato i quesiti che restano aperti tengono vivo il mistero e l'enigma della trama, dall'altro alcuni aspetti potevano essere approfonditi meglio per non apparire trascurati.

Questa, ovviamente, è la mia personalissima opinione sulla lettura. Penso che l'idea di base fosse molto buona, mi ha ricordato uno Squid Game (senza la parte mortale o pericolosa!!) in versione Boy Scouts, ma penso anche che si potesse poi curare maggiormente il suo sviluppo. 
Resta comunque un libro piacevole e veloce, diverso dal solito, che può apparire scontato ma suscita riflessioni e lascia spazio all'interpretazione personale.

«Non aveva pensieri, ma non era stanco e osservò a lungo il buio della tenda prima di addormentarsi. Nel buio vedeva tutto quello che sarebbe potuto succedere. Vedeva la gente su quella piana e in quei boschi, vedeva la marea di possibilità che il tempo gli avrebbe dato. C'era tanto da fare, c'era ancora tanto. C'era una vita intera ancora da vivere.»



_Lisa_