Autori: Giorgio Pulvirenti, Marco Negrone
Editore: independently published
Genere: romanzo storico
Pagine: 283
Prezzo: € 9,99 (cartaceo)/ 2,99 (ebook)
« Un giorno come un altro per gli "altri", i non ebrei, ma lui non era un "altro". Era un ebreo con la stella di David affissa nel petto come un marchio indelebile. Uno dei tanti che avrebbe ricordato quel giorno per tutta la vita. »
Il giovane Justin è determinato a conoscere la storia dei suoi genitori biologici.
E così inizia il racconto di un umile fornaio che amava suonare il violino, nella Parigi del 1942.
Il racconto di un fornaio ebreo e di un amore proibito che sboccia nel luogo meno adatto possibile: Auschwitz. Trasferimenti e internamento forzato, lavoro coatto in condizioni disumane, atrocità viste e subite, ma anche una flebile speranza e tanta forza di volontà.

Sicuramente una di quelle storie che lascia il segno, sia per la tematica affrontata sia per come è stata trattata dagli autori.
Il libro prende avvio nel 1957, in un paesino nella Francia del sud, quando Justin chiede al padre adottivo di parlargli dei suoi genitori naturali. Da qui si torna indietro nel tempo, nel 1942, dalla prospettiva di un fornaio ebreo. Assistiamo a uno scorcio della sua quotidianità, prima che inizi il racconto della deportazione. Gli autori ci offrono una versione della ville lumière pattugliata dalla crudeltà di nazisti e poliziotti francesi indistintamente, dove per un ebreo non è più possibile fidarsi dei propri amici, dei propri vicini. Alexandre Moreau è coraggioso, astuto, altruista e determinato a non arrendersi alla palese ingiustizia dell'olocausto. Alexandre e un gruppo di altri ebrei, per lo più francesi, con i quali si instaurerà un legame di amicizia e sostegno reciproco, finiranno nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, sottoposti a una costante devastazione fisica e mentale come i milioni di altri internati attorno a loro.
La musica, per Alexandre, ha sempre rappresentato una fiammella di speranza inestinguibile, e così sarà anche in Polonia, anche quando tutto sembrerà ormai perduto. Il suo violino diventerà simbolo di fiducia nel futuro anche per il lettore.
Il gruppo di ebrei, tra cui Alexandre e Benjamin (che diventa il punto di vista principale nella seconda parte della storia), tenterà un disperato piano di fuga, con un insperato aiuto esterno.
Le dettagliate descrizioni della vita nel campo, la routine obbligata e sempre più deleteria, sono crude, sofferenti e crudeli, com'è ovvio che siano, ma il linguaggio resta, nei limiti del possibile, composto e posato. La lettura è infatti molto scorrevole.
Alle vicende dei personaggi internati, però, (e trovo in questo un aspetto che si distingue da diverse altre letture sul tema della Shoah) si alternano gli eventi che portano al coinvolgimento di figure esterne, non ebree, forzate a collaborare direttamente o indirettamente al massacro. Si tratta soprattutto di chimici, medici e in generale professionisti utili agli scopi del regime.
A questi si aggiunge la descrizione di alcuni gerarchi nazisti e delle loro compagne, e di come alcuni/e di questi siano a loro volta "prigionieri", seppur senza filo spinato e pigiama a righe.
Ho apprezzato molto la cura nell'impaginazione (e la specificazione di luoghi e date), il tentativo riuscito di rendere la drammaticità della storia che già conosciamo da nuovi punti di vista, e l'inserimento di alcune frasi o termini in lingua che enfatizzano e coinvolgono ancor più il lettore.
Un sincero grazie a Giorgio Pulvirenti che ci ha fornito una copia di questa lettura, certamente consigliata a tutti voi lettori.
« Si ritrovò ad osservare e toccare con angoscia la stella che aveva cucita al petto. Di solito le stelle le guardavamo nel cielo, durante le notti d'estate e magari,qualche volta, esprimevamo qualche desiderio, con la speranza che questo si avverasse, ma non questa volta. Quella stella non dava nessuna speranza. Come un branco di pecore a strisce tra i lupi attendevamo le nostre sorti. »
« I parenti più stretti non sapevano come erano periti i padri, le sorelle e i fratelli. Non potevano intuire la tragica verità di Auschwitz quando ricevevano il telegramma con cui le autorità del campo li informavano sulla morte del loro caro che giustificavano con incidenti inventati.»
« Un giorno come un altro per gli "altri", i non ebrei, ma lui non era un "altro". Era un ebreo con la stella di David affissa nel petto come un marchio indelebile. Uno dei tanti che avrebbe ricordato quel giorno per tutta la vita. »
Il giovane Justin è determinato a conoscere la storia dei suoi genitori biologici.
E così inizia il racconto di un umile fornaio che amava suonare il violino, nella Parigi del 1942.
Il racconto di un fornaio ebreo e di un amore proibito che sboccia nel luogo meno adatto possibile: Auschwitz. Trasferimenti e internamento forzato, lavoro coatto in condizioni disumane, atrocità viste e subite, ma anche una flebile speranza e tanta forza di volontà.
Sicuramente una di quelle storie che lascia il segno, sia per la tematica affrontata sia per come è stata trattata dagli autori.
Il libro prende avvio nel 1957, in un paesino nella Francia del sud, quando Justin chiede al padre adottivo di parlargli dei suoi genitori naturali. Da qui si torna indietro nel tempo, nel 1942, dalla prospettiva di un fornaio ebreo. Assistiamo a uno scorcio della sua quotidianità, prima che inizi il racconto della deportazione. Gli autori ci offrono una versione della ville lumière pattugliata dalla crudeltà di nazisti e poliziotti francesi indistintamente, dove per un ebreo non è più possibile fidarsi dei propri amici, dei propri vicini. Alexandre Moreau è coraggioso, astuto, altruista e determinato a non arrendersi alla palese ingiustizia dell'olocausto. Alexandre e un gruppo di altri ebrei, per lo più francesi, con i quali si instaurerà un legame di amicizia e sostegno reciproco, finiranno nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, sottoposti a una costante devastazione fisica e mentale come i milioni di altri internati attorno a loro.
La musica, per Alexandre, ha sempre rappresentato una fiammella di speranza inestinguibile, e così sarà anche in Polonia, anche quando tutto sembrerà ormai perduto. Il suo violino diventerà simbolo di fiducia nel futuro anche per il lettore.
Il gruppo di ebrei, tra cui Alexandre e Benjamin (che diventa il punto di vista principale nella seconda parte della storia), tenterà un disperato piano di fuga, con un insperato aiuto esterno.
Le dettagliate descrizioni della vita nel campo, la routine obbligata e sempre più deleteria, sono crude, sofferenti e crudeli, com'è ovvio che siano, ma il linguaggio resta, nei limiti del possibile, composto e posato. La lettura è infatti molto scorrevole.
Alle vicende dei personaggi internati, però, (e trovo in questo un aspetto che si distingue da diverse altre letture sul tema della Shoah) si alternano gli eventi che portano al coinvolgimento di figure esterne, non ebree, forzate a collaborare direttamente o indirettamente al massacro. Si tratta soprattutto di chimici, medici e in generale professionisti utili agli scopi del regime.
A questi si aggiunge la descrizione di alcuni gerarchi nazisti e delle loro compagne, e di come alcuni/e di questi siano a loro volta "prigionieri", seppur senza filo spinato e pigiama a righe.
Ho apprezzato molto la cura nell'impaginazione (e la specificazione di luoghi e date), il tentativo riuscito di rendere la drammaticità della storia che già conosciamo da nuovi punti di vista, e l'inserimento di alcune frasi o termini in lingua che enfatizzano e coinvolgono ancor più il lettore.
Un sincero grazie a Giorgio Pulvirenti che ci ha fornito una copia di questa lettura, certamente consigliata a tutti voi lettori.
« Si ritrovò ad osservare e toccare con angoscia la stella che aveva cucita al petto. Di solito le stelle le guardavamo nel cielo, durante le notti d'estate e magari,qualche volta, esprimevamo qualche desiderio, con la speranza che questo si avverasse, ma non questa volta. Quella stella non dava nessuna speranza. Come un branco di pecore a strisce tra i lupi attendevamo le nostre sorti. »
« I parenti più stretti non sapevano come erano periti i padri, le sorelle e i fratelli. Non potevano intuire la tragica verità di Auschwitz quando ricevevano il telegramma con cui le autorità del campo li informavano sulla morte del loro caro che giustificavano con incidenti inventati.»
Nessun commento:
Posta un commento